LE PASQUONZATE
NON FINISCONO MAI...
logotestadue
    2511
(dal
4.10.2006)
home   bibliografia recensioni e critica

Rocco Futia, Leonardo Pasquonzo (quasi illustre),
romanzo a episodi, Messina, Lippolis 2005.
 


TRUCCHI MALANDRINI 

«(Alla prima uscita, il periodico di Cochizzo diede notizia della “rilapidazione di Leonardo Pasquonzo” (sic!) in uno spiccio articolo di spalla. In seguito, con l’edizione straordinaria, pubblicò in terza pagina – come aveva fatto in occasione della morte del capocaccole – un servizio che sembrò colto, scritto da una mano abbastanza attenta: Consacrazione di un genietto, titolava a caratteri eleganti e più o meno cubitali. Lo lessero anche gli illetterati di Gnomello.L’autore descrisse i particolari più esaltanti della cerimonia e della contesa tra gli emergenti poetastri, chiudendo il pezzo con le iniziali “R.P.” E chi fu in grado di capire, capì.)

 Le strade di Gnomello non erano più le stesse: i soci del Circolo Letterario Ambulante vi comparivano agli angoli come larve minute ed esitanti, presi in un rimorso a cui non potevano sfuggire: aver lasciato che Poppe di Vacca cadesse “nelle ruvide mani” di Ugone Cavezziere e Antonio Degli Scimelli, senza poter fare più nulla per rimediare. Alla morte di Leonardo erano rimasti come tanti orfanelli privati del loro simbolo. Ed ora avevano dimostrato la totale incapacità di escogitare una sola tracotanza per salvare la faccia e rendere un po’ d’onore al letterato sorrognino. Figliastri del genietto, erano finiti col nascondersi per la vergogna, grulli più di prima. Solo per non dare nell’occhio uscivano insieme, ma non restava loro che guardare i lampioni (anch’essi invecchiati col passare del tempo), o le vetrine, rinnovate di stagione in stagione. Camminavano silenziosi, come veri fantasmi, ombre grigie di se stessi. Sorrogne tornava soverchiamente Gnomello. Non più la Mocta Invidiæ degli anni oscurantisti. Gnomello, la New Reality, e, chissà, la nuova coscienza: un po’ stolta, un po’ avara, un po’ pigra, un po’ ruffiana; un po’ di questo, un po’ di quello per diventare… la nuova, fiammante Gnomello, popolata ancora da qualche notabile, come da qualche pappone e dai soliti intriganti. I più erano giovani, arrivati da poco sulla scena (un po’ a spinte, un po’ a tentoni), ma assai esuberanti nella corsa verso le mete più ardite.Nessuno più sembrava avere paura dell’inferno, né per l’adulterio, né per le ruberie. Chierici e fraticelli non riprovavano i peccatori come una volta. Ogni cosa sembrava normale, anche il prezzo delle prostitute e il costo dei tabacchi. Il “libro delle lapidi” era (finalmente e fatalmente) pubblicato. E quanti vollero recarsi a leggere le memorabili parole, poterono farlo negli orari consentiti, cioè dalle sedici alle diciotto del solo venerdì. Così aveva voluto l’erede Degli Agaponi. E così è ancora oggi.

Alla fine, era prevalso il volere di Firmè (che aveva desiderato che il primo epitaffio fosse conservato, se non altro per attenuare le scempiaggini operate da Ugone e da Antonio).Per coloro che non erano ancora informati, le lapidi erano tre! Davvero un piccolo libro, che nel tempo, forse, sarebbe aumentato di volume.

Il sindaco, nella specifica qualità di Governor della situazione, non poté fare altro che affermare la possibilità che il «Regolamento sulle tombe, lastre et lumi [1] fosse rivisto, sottintendendo l’eventualità della “rotazione annuale” delle lapidi (opzionale!, precisava). E “rotazione” poteva significare sostituzione integrale di quelle esistenti o conservazione parziale, senza escludere la facoltà di revisionare o cambiare le iscrizioni. La cerimonia, stavolta piuttosto breve, si concluse con lo scambio di complimenti e abbracci: chi più poté, più si complimentò; chi più poté, più si profuse in strette di mano e guancia a guancia. Tanto che Firmina non seppe trattenere le lacrime, riuscendo però, alla fine, a sospirare per la chiusura delle ostilità. Quando il cielo già volgeva alle prime tenebre della sera, ognuno prese la via del ritorno a casa.Anche questa è fatta!, finì con l’esclamare tra sé il sindaco. Sia lodato il Signore!Qualcuno notò che Ugone, nonostante la sconfitta nella gara (così egli sentiva in cuor suo), aveva lasciato il cimitero preso sottobraccio con Antonio Degli Scimelli (tronfio più del solito e in vena ormai di ostentare sapienza – la vittoria morale era sua, pensava).Non sembravano più due citrulli antagonisti, bensì due vecchi amici uniti nella boria e nella disperazione, perché ciò che era dell’uno, ora più che mai… era senza dubbio, e malgrado tutto, dell’altro. Da quel giorno, l’amicizia tra Ugone ed Antonio si rafforzò a tal punto che le loro famiglie si frequentavano come fossero una sola.Teresella declamava ispirandosi pure a Ugone, di cui imitava le espressioni del volto e i gesti delle mani.Antonio, dal canto suo, fece da tutore al primogenito del Cavezziere, prossimo alla laurea, alla quale arrivò discutendo una tesi in dialettologia. Ed è davvero superfluo annotare che Antonio Degli Scimelli lo aveva seguito passo passo, approntando per lui ogni specie di versi in vernacolo, ogni tipo di citazione da fonti sconosciute, ogni forma di traduzione in italiano, ecc., fino alla compilazione di una assai stravagante appendice quale «Lessicario» (così insisté che fosse intitolata, nonostante la disapprovazione del professore ordinario, relatore della tesi).Alla fine, il rampollo del Cavezziere uscì col titolo di “dottore” quasi col voto più basso (che in pergamena non sarebbe stato riportato). Ma Antonio seppe rinfrancare il giovane, convincendolo che si era trattato di sicura invidia da parte della commissione di laurea, perché altrimenti gli avrebbero dovuto attribuire… il massimo, con dignità di pubblicazione della tesi. In poco tempo il giovane conquistò (o collezionò) trofei e coppe nelle gare e nei concorsi riservati al dialetto, e dopo tre anni di continue vittorie fu chiamato alla presidenza del premio più prestigioso dedicato al vernacolo, «Palori di pizzu», istituito a Gnomello Ultra con il solo scopo di dare al giovanotto la possibilità del primo gradino della scalata “letteraria”, che tanti “gettoni” poteva procurargli negli anni. Ugone e Antonio, nel frattempo, avevano pensato di fondare un nuovo circolo. A distanza di pochi mesi, firmarono davanti a Filippo Lecconatis lo statuto dell’«Alleganza dei Poetastri». E già nei giorni seguenti cominciarono la loro “ultima sfida” (così dichiararono in pubblico) per l’accaparramento della sedia in finta pelle nerastra di presidente. Stavolta a colpi di trucchi malandrini e non di versi. Il cimento continua ancora oggi, tanto che l’«Alleganza dei Poetastri» non ha mai avuto una guida.»


____________________
     [1] Come assai fedelmente trascrive Mico Merodo nella sua famosa Storia incontaminata di Mocta Invidiæ, il «Regolamento» fu emanato il 16 marzo 1857 – quando a guida della Municipalità di Krilonia era Giovanni Pipitone – ed entrò in vigore trenta giorni dopo.

         [...]

(da: Rocco Futia, Leonardo Pasquonzo (quasi illustre.), romanzo, Messina, Lippolis, 2005, pp. 83-85)


Rocco Futia © 2002-2025